La nostra linea del Piave: la Costituzione repubblicana del 1947
“Piave.gif” In passato ci si poteva riferire alla legge, come fonte di equità e giustizia. I governi e i parlamenti che si sono succeduti, dai primi anni ’90 ad oggi, ci hanno tolto quella che è una prerogativa dei cittadini che fanno parte di uno Stato c.d. di diritto.
In Italia le leggi più bizzarre e incomprensibili nella logica del bene comune, prendono la via della gazzetta ufficiale; ciò, in special modo, in quei settori ove la politica preferisce perseguire il proprio interesse con l’asservimento delle Istituzioni.
Il Governo approva decreti-legge o propone disegni di legge che, non solo travalicano i principi di equità e giustizia tra i singoli cittadini, ma anche calpestano palesemente gli interessi della collettività (quell’”interesse pubblico” che – una volta – sembrava inscindibilmente connaturato agli obiettivi del legislatore); a sua volta un Parlamento pletorico e succube accetta, senza batter ciglio, qualsiasi diktat e ratifica tutto.[more]
Molte norme, in itinere o già leggi dello Stato, legalizzano diseguaglianze sociali, privilegi e abusi a favore di interessi personali o di gruppi politici al “potere”.
Se sono scandalose – senza, purtroppo, suscitare scandalo generale – molte leggi di cui tanto si è dibattuto pubblicamente (legge Gasparri; condoni di vario tipo; ex Cirielli; lodo Alfano; legittimo impedimento; riforma intercettazioni, ecc.) e atti del Governo incomprensibili (improvvisa creazione del Ministero al “decentramento” e tempestiva nomina del relativo ministro nella persona dell’onorevole Brancher), non meno devastanti per la democrazia sono altre disposizioni che, con minor evidenza sulla stampa, stravolgono l’ordinamento giuridico.
Di ciò è solo un esempio l’invasione pianificata della pubblica amministrazione, nella sua più ampia articolazione territoriale; per porla al servizio non più della Nazione, come recita l’art. 98 della Costituzione, ma dei politici al potere, sia a livello centralo che locale.
Il Governo e gli enti locali hanno il potere di nominare i vertici, e la dirigenza in genere, delle amministrazioni pubbliche (d. lg. 30.03.2001 nr. 165; d. lg. 27.10.2009 nr. 150) e – con una pervicacia che sarebbe stata degna di ben altra causa di interesse sociale – sono state introdotte norme che consentono di licenziare (vedasi vicissitudine dell’art. 72, comma 11 del d.l. 25.06.2008 nr. 112) o declassare (art. 9, comma 32 d.l. 31.05.2010 nr. 78), senza motivi e senza dover dar conto a nessuno, dirigenti e funzionari non graditi; di converso, nominare o promuovere persone gradite e servili.
Le predette norme hanno completamente svuotato, nel suo intrinseco valore, il sopra menzionato art. 98 della Costituzione, che al primo comma stabilisce che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.
La volontà dei redattori della Costituzione, di rendere autonoma la Pubblica Amministrativa dal Governo e, quindi, indipendente dal potere politico, traspare evidente da tutto il titolo III ed è indirettamente rimarcato dal comma successivo dello stesso art. 98, secondo il quale i pubblici impiegati “Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità”.
In dispregio di tali principi, è stata creata una linea di potere che – attraverso una apparente autonomia delle amministrazioni – consente agli uomini politici di esigere un atteggiamento supino da qualsiasi funzionario pubblico.
In questa situazione, di pericolo per la nostra instabile democrazia, non ci resta che appellarci ai principi della Costituzione: cerchiamo di lottare, con ogni mezzo, per conservarci, anche nelle sua parti meno buone, quest’unica àncora di salvezza! Dobbiamo resistere, come i nostri fanti sulla linea del Piave!
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