Manca la volontà politica di combattere la corruzione
Con grande enfasi Matteo Renzi ha annunciato e fatto approvare dal Consiglio dei Ministri alcune “norme”, a suo dire, idonee a contrastare la corruzione.
Volutamente ho messo le virgolette alla parola norme perché dal punto di vista procedurale, non si tratta né di un decreto legge né di un disegno di legge ma di una integrazione al disegno di legge sulla riforma del processo penale “ che, – come ha scritto G. Negri sul Sole 24ore del 13.12.2014 – “ approvato dal consiglio dei ministri del 28/08, ha fatto da tempo perdere le sue tracce”.
Gli annunciati interventi normativi aggravano la pena per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione e ne allungano i termini di prescrizione; inoltre rendono più incisiva la confisca dei beni del reo e più oneroso il patteggiamento.
Tali disposizioni, sempre che riusciranno ad approdare in Gazzetta Ufficiale, oltre ad essere un brutto rattoppo al sistema sanzionatorio penale, sicuramente non costituiranno un freno alla corruzione ad alla connessa cattiva gestione politica della “cosa pubblica”. Aggravare le sanzioni per i reati contro la P.A. e renderne più oneroso il patteggiamento non serve né a prevenire né a contrastare un malcostume diffuso ed imperante.
Il buon funzionamento del sistema democratico è assicurato da alcune regole fondamentali che da noi – nonostante figurino in Costituzione – sono state col tempo eluse o sovvertite.
E’ necessario un cambio di mentalità; di costume; del modo di sentire delle persone che richiede tempo ed iniziative legislative coordinate e mirate.
In questo, il Governo può sicuramente fare la sua parte in tanti modi. Con una seria programmazione di iniziative veramenti efficaci e senza la necessità di roboanti annunci; con interventi incisivi e coordinati che vanno dalla durata degli incarichi politici ad una seria riforma dell’ordinamento giudiziario; dalla trasparenza dell’azione politico/amministrativa alla riforma dell’istruzione; dall’effettiva riduzione del costo della politica alla riconducibilità delle entrate erariali alle relative spese pubbliche.
Ma poiché un prodromo della corruzione sta nella mancanza di indipendenza rispetto alla politica della Pubblica Amministrazione, da subito avrebbe dovuto por mano ai meccanismi di funzionamento della stessa per assicurarle quell’autonomia ed indipendenza pensata dai padri costituenti e che gradualmente è stata eliminata con un preciso intendo di assoggettamento. La maggior parte dei reati di corruzione avvengono mediante atti amministrativi deviati dalla loro finalità.
Non per nulla, la Costituzione prevede che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”; al contrario la Pubblica Amministrazione, con legge ordinaria, di fatto è stata asservita al potere politico; ad essa è stata tolta ogni autonomia ed indipendenza che avrebbe potuto costituire un freno alla corruzione.
Mentre la Costituzione stabilisce che agli “impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”, la dirigenza, di vertice e non, nelle amministrazioni centrali e locali è nominata, direttamente o indirettamente, dai politici che preferiscono circondarsi più che da esperti da uomini “fedeli”
Con questi criteri, mentre secondo la Costituzione “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, di fatto e per riconoscenza di chi li ha nominati e può farli progredire in carriera, sono alla mercé del politico di turno.
Se vogliamo cominciare ad invertire il malcostume della politica e dei politici il Parlamento deve cominciare a ristabilire i naturali (per un moderno sistema democratico) controlli interni derivanti dalla contrapposizione di interessi tra Amministrazione, soggetta solo alla legge, e politica che per natura mantiene sempre un occhio rivolto all’interesse di parte quando non anche personale.
Ma tutti i Governi non sembrano volere porre mano a riforme che limitandone i poteri restituiscano salute a questa democrazia malata.
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